Si comportano stranamente, le sculture di Fabrizio Prevedello. A volte si mostrano senza indugi o ritrosie: le trovi là, aggrappate a una parete, frontali. Altre volte, invece, danno l’impressione di amare l’intimità, quasi tradissero un imbarazzo. Si può parlare di sculture timide? Senz’altro somigliano a un rifugio, a un ambiente appartato [...].
Entrare all’interno di Rupe – questo il titolo dell’esposizione – significa fare un pezzo della strada percorsa da questo cavatore folle, che si veste in studio come se andasse in cava. E che concepisce le mostre come un vero e proprio habitat per le sculture: le pareti della galleria Cardelli & Fontana sono infatti rivestite per l’occasione da un cartone ondulato, con delle micro-scanalature che somigliano ai luoghi interstiziali e intimi creati da Prevedello con le sue opere. Non so bene quale musa abbia ispirato l’artista, ma trovo che questa mostra – tutta arrampicata sulle pareti dello spazio espositivo – restituisca in modo esemplare la poetica di Prevedello, la sua idea di scultura, il rapporto con il paesaggio che lo circonda. Rupe ha una grazia silenziosa, spontanea, semplice. Somiglia a un rifugio puntellato di piccoli monumenti alla quiete. Somiglia, in definitiva, allo stesso Prevedello, in tutto e per tutto.
La mostra è accompagnata da un testo del drammaturgo Toni Garbini, nato dalle suggestioni derivate dall’incontro tra Garbini stesso e Prevedello, nello studio dell’artista. Il testo costituisce una specie di “audio-guida” alternativa alla mostra, un modo inedito per accostarsi alle opere di Prevedello, filtrate dalla sensibilità di Garbini.
Le due opere di Prevedello a cui si riferisce il testo di Garbini sono qui di seguito contrassegnate con il simbolo
Nella versione audio il testo è letto da Toni Garbini e Angela Pellegrino.
Le sculture di Prevedello vivono della coesistenza tra naturale e artificiale – delle loro affinità e spinte contrarie. Da questo punto di vista Ponte (300) è un’opera assolutamente emblematica. L’elemento principe della scultura è la pietra scura che, come ci dice il titolo, congiunge due piccole lastre aggettanti. La pietra-ponte, trovata senz’altro nel corso di qualche escursione, presenta anche dei licheni sulla superficie, a ribadirne le qualità organiche. Sullo sfondo, tuttavia, spicca imponente una parete in cemento armato: grigia, verticale, quasi perfettamente perpendicolare al terreno, in essa si fondono insieme paesaggio e architettura (dunque natura e artificio), creando il presupposto – l’impalcatura, verrebbe da dire – affinché quello stesso sasso trovato chissà dove possa essere percepito come un ponte.
Fabrizio Prevedello
Ponte (300), 2021
acciaio, cemento armato, ceramica, licheni, marmo, pietra
cm 86,5x60x27,5
Fabrizio Prevedello
S.T. (255 n.), 2019/21
acciaio, cemento armato, catrame, marmo, vetro
cm 25x70,5x18
Fabrizio Prevedello
Tempi (297), 2020
acciaio, alluminio, gomma, marmo Bardiglio, rame
cm 100x91,5x44
Fabrizio Prevedello
Luogo (306), 2021
acciaio, ardesia, marmo, minio, vernice
cm 46,5x33,5x17
Fabrizio Prevedello
Luogo (307), 2021
acciaio, cemento armato, marmo, minio
cm 30x29x20,5
“Mi emoziona guardare quel sasso, con quei colori e quella forma talmente forti, in relazione alle piatte superfici del cemento che però sono cariche anch’esse di segni, qualcosa di artificiale che tradisce carnalità. Quella pietra mantiene il suo miracolo naturale nonostante sia tagliata, squadrata. Chissà, forse mi piace scoprire una bellezza già espressa da altri e il mio reinventarla è la gioia del bimbo che emula il padre”
(F.P.)
Fabrizio Prevedello
S.T. (238), 2019
ferro (ematite), marmo Portoro, marmo Zebrino
cm 15x15,5x20,5
Gli scarti, i
frammenti, le fette di roccia precedentemente raccolti vengono assemblati a
comporre sculture dotate di una grazia innata, che sembra paradossalmente
dissimulare l’intervento dell’artista. È vero, Prevedello assembla, lima e
modifica l’“objet trouvé”; ma è altrettanto vero che l’assetto sembra imitare
le “aspre rupi, gli antri muscosi, le caverne irregolari […], adorne di tutte
le grazie della selvatichezza” che, come riporta Umberto Eco, tanto avevano
affascinato il Conte di Shaftesbury nei suoi Saggi morali a inizio Settecento. In questo, l’artista sembra
obbedire al comandamento di certa scultura di fine anni Sessanta: “la
composizione scultorea deve risultare direttamente dai materiali”.
Fabrizio Prevedello
Luogo (293), 2020
marmo, onice
cm 27,5x23,5x15,8
Fabrizio Prevedello
S.T. (217), 2018
marmo,onice
cm 24,3x14x14
Fabrizio Prevedello
Luogo (294), 2020
marmo Verde Alpi, Marmo Rosso Levanto
cm 36x20,2x21
Ed eccoli – in ordine alfabetico, come all’appello in classe – i
materiali che si ritrovano nelle sculture in mostra: alluminio, ardesia, bitume,
catrame, cemento, ceramica, ferro, gesso, gomma, legno, marmo, minio,
onice, ossido, pietra, sasso, rame, specchio,
vernice, vetro. Prevedello ne conosce pregi e difetti, sa metterne
in luce fragilità e potenza, senza celare le fratture, gli indizi di
lavorazione, l’erosione degli angoli, l’irregolarità dei tagli. Non nega il
loro statuto di “scarto”, proprio perché sa che questo li rende dei frammenti
irripetibili. Per l’artista ogni cosa ha un potenziale “sculturale”: una
scaglia di onice, un brandello di marmo, uno scampolo di minio, un sasso
trovato.
(S.V.)
Fabrizio Prevedello
S.T. (299), 2021
acciaio, marmo, rame
cm 82,5x65x46
Fabrizio Prevedello
Luogo (298), 2020
acciaio, cemento armato, ossido
cm 58,5x47x35
Luogo: cosa c’è di più descrittivo e insieme poetico?
Di più definito e, allo stesso tempo, aperto? Una parola secca, che racchiude
suggestioni topografiche, geografiche, ma anche recondite – non a caso per
identificare un ambiente con il quale si intrattiene un legame particolarmente
intenso si usa l’espressione “luogo dell’anima”. Tra questi luoghi dell’anima,
per Fabrizio Prevedello ci sono senza dubbio le Alpi Apuane, un territorio
“definito dall’orizzonte scheggiato delle cave” e che
l’artista stesso considera “come un grande studio. Un luogo che mi fa stare
bene, che mi nutre continuamente”.
Nelle sue opere, non sono di certo il primo a notarlo, quel paesaggio ricorre
costantemente. Prevedello lo ha attraversato innumerevoli volte, esplorando
sentieri poco battuti, anfratti, passaggi umbratili, oltre alle già citate
cave. Le sue passeggiate – ma sarebbe meglio chiamarle escursioni: suona decisamente
più avventuroso – sono il punto di partenza del processo di realizzazione delle
opere. Non posso affermarlo con certezza, ma ho l’impressione che sia proprio
in quei momenti trascorsi tra cave, boschi, rocce e rupi che l’artista veda
le proprie sculture per la prima volta.
Fabrizio Prevedello
S.T. (265), 2019/21
acciaio, cemento armato, gesso, marmo
cm 36,5x18x24
Fabrizio Prevedello
S.T. (291), 2020/21
acciaio, bitume, catrame, gesso, marmo
57,5x59x40 cm
Ecco, la
sensazione è che Prevedello riporti e condensi quelle esperienze, spesso
solitarie, sotto forma di opera. C’è tutto, in effetti: elementi letterali come
il profilo frastagliato di una montagna o il terreno collassato di una frana; pareti
verticali che suggeriscono potenziali vette da scalare; i tagli squadrati che
modellano le cave; rocce, pietre e grotte incontrate lungo il cammino. Ma il lavoro di Fabrizio Prevedello non si esaurisce in
una qualche forma di pareidolìa. No, non basta ricondurre a forme o immagini
note le parti che compongono le sue sculture. L’artista non ci mostra quei
paesaggi. Ce li fa sentire. Ci porta all’interno di faglie interstiziali e inaccessibili,
ce ne fa percepire la temperatura, le zone d’ombra e le fessure rischiarate
dalla luce. Personalmente credo che sia questo uno dei punti cardinali delle
sue opere: restituire, cioè, non tanto l’immagine di una grotta o di un rilievo
montuoso, quanto le loro qualità atmosferiche.